Ricerca e Sviluppo e Filiere tra discontinuità e complessità

Lo shock pandemico è stato uno stress test che ha fatto emergere alcune discontinuità nei principali input e output della Ricerca e Sviluppo (R&S) nel contesto delle filiere globali: investimenti, competenze, conoscenza, tecnologie. E’ quanto delineato nell’ambito di un intervento AIRI durante il convegno Shipping, forwarding&logistics meet industry.

Per il 2020 si stima un calo del -6,9% (ISTAT) rispetto all’anno precedente negli investimenti in R&S delle imprese italiane che però hanno mantenuto sostanzialmente invariate le risorse umane impiegate in scienza e tecnologia (EUROSTAT).
Si tratta di una discontinuità rilevante negli input della R&S se si considera che gli investimenti in R&S crescevano in media del 6% l’anno fino al 2019 e che il personale è raddoppiato nel decennio 2010-2020. E’ ragionevole supporre che il lockdown e le difficoltà sorte negli scambi internazionali abbiano influito sul paniere degli investimenti in R&S delle imprese italiane che contiene un 25% di ricerca svolta da multinazionali e un 25% affidata in outsourcing verso l’estero. Inoltre il 18% del personale dipende dalla domanda estera (OECD).

Osservando le stime degli output della ricerca e sviluppo in un contesto di catene del valore globali, anche la R&S ha subito il contraccolpo dovuto al blocco degli scambi internazionali. Nel 2020 il commercio di prodotti hi-tech è calato del -8% con performance altamente positive solo per il settore farmaceutico (+40%) mentre si assiste a un pesante calo degli scambi di prodotti aerospaziali (-30%).

Anche la vendita di tecnologia all’estero è cresciuta di poco grazie ai buoni risultati delle vendite di attività di R&S (+19,2%) mentre si assiste a decrementi nella vendita di royalties (-8%) e servizi ICT (-2%). Sul lato degli intangibili tuttavia le domande di brevetti in Europa (EPO) sono aumentate di un 2,9% con risultati importanti nei settori delle tecnologie digitali (+26%) e della chimica farmaceutica (+16%).

Purtroppo settori più legati al manifatturiero hanno subito una riduzione delle proposte di invenzioni (-3%). Questo è un dato da monitorare se consideriamo che i settori della meccanica e delle strumentazioni contengono più della metà delle invenzioni italiane negli ultimi cinque anni, di cui un decimo riguardano brevetti Green legati a processi circolari ed energia.

Nel complesso le poche imprese con più predisposizione alla cultura degli intangibili (appena il 2,6% delle domande di brevetto EPO sono italiane) e alla cultura digitale (solo il 13% delle imprese italiane impiega specialisti ICT) sembrano aver affrontato in modo migliore le interruzioni di filiera.

E’ il caso ad esempio di quelle imprese che grazie a investimenti 4.0 hanno introdotto l’assistenza digitale da remoto sulle macchine installate all’estero senza dover movimentare trasferimenti di personale oppure a quelle imprese che hanno impostato una strategia di royalties che ha permesso alleanze locali nei nuovi mercati.

Lo shock pandemico mostra che in un contesto globale sempre più complesso occorre sostenere lo sviluppo 4.0 e le relative competenze digitali delle imprese e delle infrastrutture nonché la diffusione di un approccio strategico agli intangibili.

Agli inizi di una nuova fase di regionalizzazione e nell’ottica di un progressivo reshoring, occorre abilitare processi circolari digitali e sostenibili tra fabbriche e filiere di prossimità che possano colmare quei gap strutturali che si riverberano nelle performance delle imprese e delle infrastrutture in situazioni di crisi.

 

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